Ogni sconfitta, nella sfida degli ascolti, di Ballando con le stelle contro Tu sì que vales la considero umiliante per la Rai.
Una Rai che è incapace di realizzare uno show del sabato sera, nuovo e originale pensato dalla “prima azienda culturale del Paese” per il pubblico che vorrebbe un intrattenimento leggero di qualità.
Non un format acquistato e adattato al pubblico italiano, riproposto per 20 anni peggiorandone l’impostazione per virare sulla centralità delle discussioni tra giudici e concorrenti.
Non c’è un componente del cast fisso che reputo meritevole di un elogio, di un plauso, di stima.
Ma è la conduttrice e autrice principale Milly Carlucci il simbolo indiscusso di una Rai molto più che discutibile.
Continuare a darle il potere di andare in onda con questo programma è una resa incondizionata: la Rai è incapace di farne a meno e di trovare una alternativa solida e differente alla sua conduzione più immobile di una esposizione del Madame Tussauds.
Simboli culturali del livello di Ballando con le stelle sono gli interventi della giudice Selvaggia Lucarelli e dell’opinionista del popolo Rossella Erra: che vi piacciano o meno, loro sono loro e voi non siete.
Quello che più infastidisce dell’ostinazione della Rai nel trasmettere questo show è l’impegno produttivo che occorre per realizzarne 13 puntate in diretta.
Chi gestisce i budget della Rai si prende davvero una grande responsabilità.
Abbassarsi al livello qualitativo della concorrenza commerciale per batterla e non riuscirci è, dal mio punto di vista, biasimevole.
Presentare nelle nuove vesti di bravissima vip ballerina Barbara d’Urso, fino a ieri (a ragione o meno) simbolo della televisione trash firmata Mediaset è, dal mio punto di vista, biasimevole.
La Rai che spalma sugli altri show del daytime i protagonisti di questo show perdente, non solo negli ascolti è, dal mio punto di vista, biasimevole.
Cosa resterà nelle Teche Rai di qualitativamente indimenticabile dopo tante edizioni di Ballando con le stelle?
La Milly-Rai: una televisione simil-commerciale che non ce l’ha fatta.