Caro vice presidente e amministratore delegato Mediaset Pier Silvio Berlusconi, capisco che, per un milanese purosangue come te, Adriano Celentano possa essere un mito. Lo è per l’Italia intera, come artista che ha segnato un’epoca ed è sicuramente uno dei miti della musica leggera e dello spettacolo italiano.
Così, quando è venuto da te per chiederti di partecipare al progetto della serie animata Adrian, ne sarai stato onorato e gli hai detto sì, facciamolo. Per me è stato un errore, tuo e suo.
Il progetto è senza dubbio ambizioso se è vero come è vero che è un lavoro al quale si lavora da un decennio, con la partecipazione di professionisti di primissimo piano come Milo Manara, Nicola Piovani, Vincenzo Cerami e tantissimi altri in tutti i settori produttivi che sono stati tanti per realizzare tecnicamente una graphic novel animata così complessa e seriale (9 puntate previste). Un progetto che sembra abbia richiesto un impegno economico totale di quasi 20 milioni di euro. Ora tu mi dirai, ecco, Mediaset dà spazio in prima serata ad una cosa nuova, realizzata da grandissimi professionisti, ideata ed interpretata (anche se nelle vesti di un cartone animato) da un mito dello spettacolo italiano, e nemmeno questo “contenuto pregiato” vi sta bene. Caro vice presidente e amministratore delegato Mediaset Pier Silvio Berlusconi, se Adrian sta bene a te, agli azionisti Mediaset ed ai vostri inserzionisti pubblicitari, sta bene a tutti. Il pubblico di Canale 5 ha risposto meglio di quanto potessi pensare: oltre 4 milioni e mezzo di telespettatori e il 19.1% di share. In attesa di vedere se le prossime puntate confermeranno questo dato, posso solo dire che Adrian, la serie evento, è una celentanata senza Celentano. La forza comunicativa e televisiva di Adriano Celentano sta nel presentarsi in scena in diretta, fare dei lunghi monologhi-sermoni sui temi a lui cari da sempre, buttarci dentro delle lunghissime pause, fare qualche battuta con i personaggi del suo universo iconico e poi partire con le canzoni del suo repertorio interpretate magistralmente e accompagnate dall’orchestra in diretta e anche duettando con altri cantanti top. Persino quando, per esigenze discografiche, nei suoi show televisivi più celebrati ha eseguito i brani in playback, le critiche sono state messe in ombra dalla sua presenza sul palco, unica, straordinaria. La graphic novel in movimento Adrian è quello stesso Adriano Celentano trasformato in una forma artistica in cui non si può e, secondo me, non si deve riconoscerlo. Adrian ha un linguaggio visivo, un confezionamento e un registro narrativo che si schiantano contro due verità inequivocabili. La prima: se le banalità dei contenuti professati dall’Adriano Celentano che sermoneggia, ce le racconta lui in diretta con la sua mimica e la sua presenza scenica uniche, l’effetto è da grande show. Se ce le propina in versione cartone animato (per quanto di qualità artistica e tecnica) allora restano solo le banalità. La seconda verità inequivocabile è che anche le parti cantate di Adrian, senza Adriano Celentano in carne ed ossa non sono la stessa cosa. Per un uomo la cui personalità artistica ha un DNA fatto di voce ma anche tantissimo di corporeità, di movimenti in scena e di una mimica unica, diventare un pupazzetto animato piatto ed inespressivo è un po’ come dichiarare l’addio alle scene che, per un artista di 81 anni che ha avuto una carriera luminosa come la sua non sarebbe uno scandalo. Il problema però è che nel DNA di Adriano Celentano c’è anche una insana voglia di eternità, un non volersi arrendere al tempo che passa, una continua corsa all’auto-celebrazione superiore ad ogni altra auto-celebrazione già auto-celebrata. Ma farlo con la graphic novel animata Adrian è stato un errore; perché nulla come l’Adriano Celentano in carne ed ossa può interpretare il monumento che è.
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Aggiornamento del 23/1/2019