Franco Di Mare, l’Accademia della Crusca e la parola giusta in italiano per dire whistleblower

Nella puntata di Uno Mattina su Rai 1 di oggi, 10 ottobre 2018 [QUI al minuto 28), Franco Di Mare nel suo corsivo “Sarò Franco” si è occupato del perché, a suo dire, non è stata finora trovata una parola italiana in grado di tradurre in modo esatto chi è il whistleblower, ovvero “chi segnala illeciti sul posto di lavoro”, di cui alla legge n. 179 del 30 novembre 2017 (“Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”).

Il giornalista Franco Di Mare nel suo corsivo afferma:

“Se una parola non è traducibile in un’altra lingua è perché quello che la parola rappresenta è sconosciuto a quel popolo”.

Per sostenere la sua affermazione, il primo esempio che ha portato è stato quello del carciofo in Bulgaria dove hanno dovuto usare una parola inglese per dare un nome al carciofo perché in Bulgaria non c’erano i carciofi.

Il giornalista Franco Di Mare ha proseguito citando un articolo del suo collega Stefano Filippi dicendo:

“quando Il Giornale chiese aiuto all’Accademia della Crusca, vale a dire il tempio della nostra lingua, ebbe una risposta fulminante: se manca una parola per definire un fenomeno è perché quella società è estranea al concetto che quella parola vuole esprimere”.

A cui ha aggiunto questo suo pensiero:

“Vale a dire che se uno i carciofi non ce li ha, se li vuole mettere a tavola, li deve chiamare col nome che hanno dato quelli che i carciofi li mangiano da sempre”.

Una parte delle affermazioni del giornalista Franco Di Mare le ho ritrovate in questo articolo (definito “nota lessicale”) pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca con la seguente motivazione:

“Quesito. Nel mese di febbraio di quest’anno (2014), la redazione del quotidiano “Pagina 99” si è rivolta all’Accademia della Crusca per avere un parere su come tradurre in italiano il termine inglese whistleblower. Abbiamo risposto con una nota lessicale pubblicata dallo stesso quotidiano il 28 febbraio 2014: la riproponiamo qui con alcuni ampliamenti e aggiornamenti”.

La “nota lessicale” è chiara e, dopo delle argomentate considerazioni di carattere normativo, socio-culturale, traduttivo-terminologico, si conclude con una indicazione operativa sulla parola più adatta da usare:

“Restano le opzioni lessicali più neutre di denunciatore / denunciante, segnalatore / segnalante, quest’ultima compare tra l’altro nel testo di legge sopra menzionato insieme alla perifrasi ‘dipendente pubblico che segnala illeciti’ ed è quindi l’unica forma a essere stata in qualche modo “ufficializzata”. Anche queste forme hanno il “difetto” di essere parole generiche dal significato ampio e vago, ma in questo caso potrebbe funzionare la scelta di determinarle combinandole con un aggettivo come quello sopra proposto: il denunciante o segnalante anticorruzione potrebbe essere il whistleblower italiano, con il vantaggio di avere a disposizione anche la forma simmetrica denuncia/segnalazione anticorruzione per il sostantivo astratto whistleblowing”.

Dunque, per la Accademia della Crusca, la parola c’è per tradurre “whistleblower” ed è “segnalante” e per rafforzare il concetto che si tratta di una figura positiva e non di “una spia”, consiglia di aggiungere l’aggettivo “anticorruzione”.

La “nota lessicale” si conclude con questa osservazione:

“Resta il fatto che le parole non entrano nel lessico di una lingua e negli usi di una comunità per imposizione dall’alto: soltanto il progredire del dibattito intorno al tema e l’intensificarsi dell’interesse pubblico per la “cosa” designata consentirà di sviluppare e radicare una designazione linguistica condivisa”.

Il fulcro del corsivo del giornalista Franco Di Mare è basato sul portare avanti la risposta che l’Accademia della Crusca ha dato a Il Giornale “se manca una parola per definire un fenomeno è perché quella società è estranea al concetto che quella parola vuole esprimere” che ha una concretezza linguistica più evidente rispetto al finale della “nota lessicale” dell’Accademia. Il punto forte, a mio avviso il punto debole, del corsivo di Franco Di Mare è quando afferma con forza e determinazione:

“Dobbiamo arrenderci, insomma, se non abbiamo whistleblower nel nostro Paese non è perché manchino gli informatori, ci spiegano i custodi culturali della nostra lingua, ma è perché il nostro popolo è lontano dall’idea che vadano denunciati quelli che fanno male il loro lavoro, quelli che imbrogliano, che si arricchiscono illecitamente o che timbrano il cartellino e poi vanno al mare. Se l’etica del lavoro fosse radicata nella nostra cultura, avremmo una parola per definire quelli che si alzano in piedi, indicano i furfanti e li denunciano ai loro superiori o all’autorità giudiziaria. E’ una faccenda di cultura. Se non troveremo mai un sinonimo accettabile di whistleblower non è perché la nostra lingua non sia ricca ma è perché non siamo abituati all’idea di smascherare i furbi. Del resto, furbo, in italiano, è sinonimo di astuto, scaltro, arguto, mica è una roba negativa dalle nostre parti. Stanislaw Lec, uno dei più grandi scrittori polacchi, diceva: Dicono di più su un’epoca le parole che non si usano più, rispetto a quelle di cui si abusa”.

Appurato che la parola (2 parole) in italiano per dire whistleblower (in tutte le sfumature positive che gli attribuisce la legge n. 179/2017 e anche per la “nota lessicale” della Accademia della Crusca), c’è ed è “segnalante anticorruzione”, la domanda che mi sono fatto mentre ascoltavo il sermone, pardon, il corsivo di Franco Di Mare è stata: “Ma perché un giornalista Rai deve fare tutto questo giro contorto, esasperando il concetto che non ci sarebbe una parola per dire qualcosa (e invece c’è), affermando tra l’altro che se non la troveremo (ma la parola c’è già!) è perché noi italiani “non siamo abituati all’idea di smascherare i furbi”? La risposta che mi sono dato è stata una severa auto-reprimenda:

“Perché questa mattina hai seguito il corsivo di Franco Di Mare a Uno Mattina pur sapendo che non ti piace? Eh?

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