Nessuno, me compreso, avrebbe scommesso un centesimo sullo stesso successo del Festival di Sanremo di Carlo Conti dopo i successi dei 5 consecutivi di Amadeus. Anche se Carlo Conti ne aveva già fatti 3 di successo.
E invece, gli italiani sono gli italiani.
Gli italiani guardano il Festival non perché Sanremo è Sanremo ma perché gli italiani sono italiani e in questa settimana ripongono poche speranze e tante certezze. Su tutte, la certezza che dà quello che molti considerano “un rito collettivo”, un modo a costo zero di essere al centro di una scena in cui chiunque può identificarsi perché qualcuno che è come sei tu, lo trovi.
E i sacerdoti ideali per celebrare questa liturgia sono i conduttori più simili a Pippo Baudo che ci siano: Amadeus e Carlo Conti.
Quest’anno, e chissà ancora per quanti anni, è toccato a Carlo Conti.
Sotto la sua abbronzatura permanente c’è il serial killer degli eccessi, ovvero, un distributore di normalità a ciclo continuo, l’everyman di Umberto Eco all’ennesima potenza (Mike Bongiorno, Pippo Baudo e Amadeus non a caso, sono stati citati da Carlo Conti dal palcoscenico dell’Ariston).
Solo che oggi non si celebra l’Italia del boom economico ma un prodotto televisivo scritto per i boomer, per i loro figli e per i loro nipoti: un boomerificio desolante.
E infatti Carlo Conti ha scelto come inno di questo Festival il coro da stadio “Tutta l’Italia” di Gabry Ponte.
L’Italia in cui la scia della paura post pandemica continua a lasciare segni preoccupanti. Una Italia che sa di vivere un presente più incerto di un futuro certo fatto di una lenta ed irreversibile regressione in tutti i settori: produttivi, economici, sociali, culturali, politici.
Un Paese con l’acqua alla gola che per una settimana si illude di alzare la testa dalla melma in cui è immerso.
Un popolo di individualisti che si trasforma in massa per i mondiali di calcio e per Sanremo.
Amadeus e Carlo Conti, per gli italiani, pari sono. Due abili minestrari al posto giusto nel momento giusto che per una settimana sono in grado di unire ed accontentare, “Tutta l’Italia! Tutta l’Italia!”.
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